Nel cuore dell'Europa, le politiche migratorie continuano a suscitare dibattiti accesi e controversie. Un esempio emblematico è rappresentato dall'accordo tra Italia e Albania, che ha visto la creazione di centri per migranti sul territorio albanese. Questi centri, situati a Gjader e Shengjin, sono stati oggetto di critiche feroci da parte di organizzazioni come ActionAid e l'Università di Bari, che hanno reso noti i costi esorbitanti di queste strutture.
Il decreto-legge 37 del 2025 ha introdotto una normativa che consente il trasferimento di cittadini stranieri dai Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) italiani alle strutture di trattenimento situate in Albania. Tuttavia, questa disposizione ha sollevato diverse criticità, principalmente a causa della mancanza di criteri chiari per l'esercizio di tale potere. Inoltre, il trattenimento in Albania pone interrogativi significativi riguardo all'impatto sui diritti fondamentali degli individui coinvolti.
La Corte di Cassazione italiana ha sollevato quesiti importanti alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, chiedendo se questa normativa sia in linea con la direttiva europea sui rimpatri. Un ulteriore punto di discussione riguarda la norma che impedisce il ritorno in Italia di coloro che hanno presentato domanda di protezione internazionale in Albania, mettendola in relazione con l'articolo 9 della direttiva "procedure", che garantisce il diritto di rimanere sul territorio dello Stato dopo la presentazione della domanda d'asilo.
Queste questioni giuridiche sembrano ruotare attorno al concetto di "finzione di territorialità", un'idea che l'autore del saggio ritiene debba essere respinta. Tale concetto appare infatti in contrasto con principi consolidati del diritto internazionale, del diritto dell'Unione Europea e della Costituzione italiana.
Il dibattito su queste nuove norme si inserisce in un contesto più ampio di discussione sui diritti degli immigrati e sulla gestione delle politiche migratorie a livello europeo. È essenziale che le decisioni prese rispettino non solo le leggi nazionali, ma anche gli obblighi internazionali, garantendo al contempo i diritti fondamentali degli individui coinvolti.
Secondo i dati pubblicati, l'allestimento di un singolo posto letto in questi centri ha raggiunto cifre astronomiche, superando i 153 mila euro. In confronto, le strutture simili in Italia richiedono circa 21 mila euro per posto. Inoltre, i costi giornalieri operativi si aggirano intorno ai 114 mila euro per soli cinque giorni di attività nel 2024, una spesa che molti considerano insostenibile e poco giustificabile.
Il governo italiano, sotto la guida di Giorgia Meloni, ha giustificato l'iniziativa come parte di una strategia più ampia per gestire i flussi migratori. Tuttavia, le prime operazioni di trasferimento verso Gjader si sono rivelate inefficaci, con i migranti riportati in Italia a seguito di provvedimenti non convalidati. Questo ha portato a un cambio di destinazione del centro, ora utilizzato per il rimpatrio di stranieri già trattenuti in Italia.
Nonostante le critiche, il protocollo Italia-Albania ha attirato l'attenzione della Commissione europea e di diversi Stati membri, interessati a esplorare nuove soluzioni per la gestione dei migranti.
In conclusione, mentre l'Europa cerca di navigare tra le sfide della migrazione, l'esperimento italiano in Albania rappresenta un caso di studio complesso e controverso. La questione rimane aperta, con molte domande ancora senza risposta su come conciliare efficacemente sicurezza e umanità nelle politiche migratorie del continente.
