Recentemente è stato oggetto di un acceso dibattito politico, che ha avuto un grande riverbero nei media nazionali, il rigetto delle richieste di convalida dei trattenimenti disposti dalla Questura di Roma, in base al Protocollo Italia-Albania, emesso dal Tribunale di Roma il 18 ottobre 2024.
Il Tribunale di Roma, nella sua sezione specializzata in diritti della persona e immigrazione, ha emesso decreti significativi riguardanti casi provenienti da paesi come Bangladesh ed Egitto. Questi decreti sono stati influenzati dalla primazia del diritto dell'Unione Europea sul diritto nazionale. Questo principio, radicato nell'ordinamento giuridico europeo sin dalla storica sentenza Costa contro E.N.E.L. del 1964, stabilisce che il diritto dell'Unione prevale su qualsiasi norma nazionale contrastante.
Il giudice nazionale, agendo come giudice comune europeo, è tenuto ad applicare integralmente il diritto dell'Unione e a non applicare norme interne contrastanti. Questo sistema di disapplicazione si è consolidato nel tempo, garantendo l'efficacia del diritto dell'Unione negli Stati membri. Tuttavia, esiste un'eccezione: se le disposizioni del diritto dell'Unione contrastano con i principi supremi dell'ordine costituzionale italiano, potrebbe essere necessario sollevare una questione di legittimità costituzionale.
Nel caso specifico analizzato dal Tribunale di Roma, la normativa dell'Unione applicata era costituita da direttive in materia di accoglienza già recepite dallo Stato italiano. Il contrasto non riguardava i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale, ma piuttosto il tipo di procedura utilizzata per l'esame delle richieste. La direttiva 2005/85/CE e la successiva 2013/32/UE stabiliscono norme minime per le procedure di riconoscimento dello status di rifugiato e prevedono la possibilità di una "procedura accelerata" in determinate condizioni.
Il Protocollo Italia-Albania, ratificato nel 2024, prevede la gestione dei migranti in strutture sul territorio albanese, gestite dalle autorità italiane. Tuttavia, il Tribunale ha rilevato che le modalità di arrivo dei migranti in Albania non soddisfacevano i requisiti per l'applicazione della procedura accelerata prevista dalla normativa italiana ed europea.
Inoltre, la designazione di paesi come "paesi di origine sicuri" è stata messa in discussione. La Corte di giustizia dell'Unione Europea ha recentemente chiarito che un paese può essere considerato sicuro solo se non si verificano atti di persecuzione o trattamenti inumani su tutto il suo territorio e per tutte le categorie di persone. Questo ha portato il Tribunale a rivedere l'inclusione dell'Egitto e del Bangladesh nell'elenco dei paesi sicuri, data la presenza di eccezioni significative per alcune categorie di persone in entrambi i paesi.
La decisione del Tribunale di Roma sottolinea la complessità delle questioni giuridiche legate all'immigrazione e alla protezione internazionale. Essa dimostra come il diritto dell'Unione Europea possa influenzare profondamente le normative nazionali, garantendo una tutela uniforme dei diritti fondamentali in tutti gli Stati membri. In un contesto globale sempre più interconnesso, queste dinamiche legali continuano a evolversi, richiedendo un'attenta osservazione e un costante adattamento delle normative nazionali alle direttive europee.